1.1. Una parrocchia a Torino dentro una storia di santi:
Madonna della Divina Provvidenza
Quando nel 1920 l'allora arcivescovo di Torino, card. Agostino Richelmy, incaricava il quarantenne don Michele Plassa di dare vita ad una parrocchia nell'estrema area ovest della città di Torino, cioè in quell'area che di lì a poco avrebbe incominciato a chiamarsi “borgata Parella”, affidava ad un prete diocesano un compito gravoso e per nulla esaltante. Quell'area, compresa tra corso Francia e la Dora Riparia, corso Lecce e i confini del Comune di Collegno, era abitata da meno di un migliaio di persone, dedite prevalentemente ai lavori agricoli: non c'era un vero nucleo di case, ma esistevano varie cascine circondate da ampi appezzamenti di terreno coltivato. Solo nel 1906 erano state tracciate le attuali vie Salbertrand, Exilles e Gravere, e altre vennero tracciate gradualmente negli anni successivi. A partire dagli anni '20 si insediarono sul territorio varie attività industriali, in prevalenza nel settore meccanico, riducendo progressivamente la presenza delle aziende agricole.
Don Michele Plassa, nato a Piobesi (Torino) nel 1880, non apparteneva a quella porzione di clero che si distingueva per l'accurata preparazione intellettuale e alla quale venivano in genere affidate le parrocchie prestigiose del centro-città, abitate allora dalla buona borghesia torinese e da famiglie dell'aristocrazia sabauda, ma era un prete semplice, poco o nulla fornito di mezzi economici, animato però da grande fede e da indomito coraggio, talvolta spinto fino a toccare i limiti dell'imprudenza. Si era preparato al ministero presbiterale prima come allievo tra gli aspiranti al sacerdozio nella Piccola Casa della Divina Provvidenza (i Tommasini) dal 1892 al 1902, poi come allievo esterno del 5° anno del Seminario teologico metropolitano di Torino, sotto il rettorato di mons. Giovanni Battista Bertagna. Fu ordinato presbitero il 28 maggio 1904 dall'arcivescovo Agostino Richelmy nella cappella dell'arcivescovado. Fu ancora allievo del Convitto Ecclesiastico della Consolata nell'anno 1904-05, avendo come rettore il canonico Giuseppe Allamano e come docente di teologia morale mons. G.B. Bertagna.
Viceparroco a San Maurizio Canavese dal 1905 e poi a Santa Barbara in Torino dal 1916, il 3 luglio 1925 veniva nominato dal cardinale arcivescovo Giuseppe Gamba (1923-29) amministratore parrocchiale per la costruzione della parrocchia Madonna della Divina Provvidenza, di cui divenne ufficialmente parroco nel 1946.
La sua formazione teologica si realizzò nei primi anni dell'episcopato del card. Agostino Richelmy (1897-1923): un episcopato all'insegna della moderazione sia nei confronti dei fermenti interni alla Chiesa (crisi del movimento cattolico e crisi modernista), sia in campo politico-sociale. In quegli anni la popolazione di Torino cresceva a vista d'occhio (335.000 abitanti nel 1901 e 502.000 nel 1921) e dopo esser stata declassata da capitale politica si apprestava a diventare capitale industriale con la fondazione della FIAT nel 1899. Forte era in quegli anni lo spirito anticlericale in vasti strati della popolazione: a quello di matrice massonica, tipico degli anni del Risorgimento, ora si aggiungeva quello di matrice socialista, aggressivo e anticattolico: il prete era additato come il primo nemico, più del ricco borghese, con lo slogan “dalla culla alla tomba senza il prete”. In tutta Italia era scatenata una vera e propria campagna anticlericale, che cavalcava gli scandali o li inventava, pur di denigrare il clero: poteva essere rischioso in quegli anni comparire in pubblico con la veste talare. A livello culturale e accademico prevaleva a Torino un orientamento positivista, soprattutto in varie cattedre delle facoltà di Medicina, di Psichiatria e di Lettere; ma non mancavano all'Università docenti di chiara formazione cattolica a Pedagogia, a Lettere, a Medicina.
Don Plassa non sembra esser stato sfiorato dalle idee moderniste durante i suoi studi teologici: a Torino qualche problema ci fu, ma solo dopo la sua ordinazione presbiterale. Risulta invece interessante il fatto che don Plassa alla fine dei suoi anni di formazione teologica abbia incrociato uomini, quali il can. Giuseppe Allamano e mons. Giovanni Battista Bertagna. Prima di tutto una parola su quest'ultimo.
Alla morte prematura (1860) di don Giuseppe Cafasso (proclamato santo da papa Pio XII nel 1947) gli successe nell'insegnamento della Teologia morale al Convitto Ecclesiastico don G.Battista Bertagna. Il Convitto fu trasferito nel febbraio 1871 presso il santuario della Consolata, mentre a ottobre Torino aveva un nuovo arcivescovo nella persona di mons. Lorenzo Gastaldi. Preoccupato per il fatto che un'ampia porzione del giovane clero ricevesse al Convitto una formazione tendente ad un certo lassismo nell'ambito della Teologia morale, dopo alcuni richiami al Bertagna, esortato ad attenersi più attentamente alla linea morale benignista di sant'Alfonso de' Liguori e dopo un'indagine su cosa pensasse in proposito il clero torinese, nel settembre 1876 l'arcivescovo Gastaldi licenziò il Bertagna, che lasciò il Convitto. Solo nell'ottobre 1880 il Convitto trovò un nuovo equilibrio con la nomina a rettore e capo delle conferenze di Teologia morale del giovane prete di 29 anni don Giuseppe Allamano, fino allora direttore spirituale nel Seminario metropolitano. Come docente di Teologia morale l'Allamano optò per una via di compromesso tra la linea benignista-liguorista, seguita a suo tempo dal Cafasso, e la linea rosminiana, cara all'arcivescovo Gastaldi, più vicina al rigorismo morale insegnato da oltre un secolo nelle aule della facoltà teologica dell'Università di Torino. Di fatto il Bertagna nel suo insegnamento morale era andato oltre la linea del benignismo alfonsiano insegnato dal Cafasso e aveva abbracciato tesi inclini ad un certo benignismo lassista, seguendo una teologia morale decisamente casuistica.
Nel novembre 1883 Torino aveva un nuovo arcivescovo, il card. Gaetano Alimonda, che mise mano a grandi cambiamenti, che a molti parvero avere il sapore di una vera epurazioni di quanti erano stati stretti collaboratori del predecessore. Il cambiamento più illustre, forse su ispirazione di don Bosco, consistette nel richiamare a Torino il Bertagna, che dopo il licenziamento avvenuto nel 1876 si era trasferito in diocesi di Asti, dove era diventato vicario generale. Il Bertagna fu fatto vescovo ausiliare, rettore del Seminario metropolitano e rettore generale di tutti i seminari diocesani; riebbe la cattedra di Teologia morale al Convitto della Consolata e come tale fu ancora insegnante del giovane prete don Plassa nell'anno accademico 1904-05: morì però nel febbraio 1905. Gli successe come prefetto della conferenza di Teologia morale al Convitto mons. Costanzo Castrale. Dunque don Michele Plassa ricevette al Convitto una linea teologica morale di matrice sostanzialmente alfonsiana, ma ormai decisamente casuistica, di orientamento probabilista, poco fedele alla linea più moderata e attenta anche alla linea teologica avversa seguita da s. Giuseppe Cafasso.
Al Convitto della Consolata il giovane don Plassa entrò in contatto anche con il rettore, don Giuseppe Allamano (proclamato santo da papa Francesco il 20 ottobre 2024). Questi era nipote per parte di madre di s. Giuseppe Cafasso ed era nato a Castelnuovo d'Asti (ora Castelnuovo Don Bosco) nel 1851. Dopo aver fatto gli studi ginnasiali a Valdocco alla scuola di don Bosco, comprese di non esser adatto allo stile movimentato della nascente congregazione salesiana e passò al seminario di Torino. Ordinato presbitero nel settembre 1873, l'anno dopo conseguiva a pieni voti il dottorato in teologia. Nominato assistente in Seminario, nel 1876 l'arcivescovo Gastaldi lo nominava direttore spirituale del centinaio di alunni del Seminario metropolitano, ai quali si aggiunsero presto i giovani preti del Convitto, là trasferiti dopo il licenziamento del teologo Bertagna. A don Allamano, diventato anche rettore del santuario della Consolata e quindi canonico del duomo, il Gastaldi nel 1882 diede l'incarico di riaprire il Convitto, imponendogli di tenere lui le conferenze di morale. Il 25 marzo 1883, giorno di Pasqua, moriva improvvisamente l'arcivescovo Gastaldi e si apriva l'attesa del successore. Gli anni dell'episcopato di Gastaldi erano stati anni di governo forte della diocesi, con numerosi interventi dell'arcivescovo soprattutto per quanto riguarda la formazione del clero. Alcuni ebbero a soffrire e tra questi don Bosco: il Gastaldi infatti mal sopportava che la ormai nata congregazione salesiana si aprisse sempre più a diffondersi a livello di Chiesa universale e avrebbe voluto che rimanesse una realtà diocesana sotto il diretto controllo dell'arcivescovo. Il successore del Gastaldi fu un cardinale di curia, il genovese Gaetano Alimonda il quale, come si è detto, subito impose alla diocesi grandi cambiamenti. Anche il can. Allamano per certi versi era una persona che aveva goduto la stima dell'arcivescovo Gastaldi e le sue principali nomine erano avvenute sotto l'arcivescovo defunto. Fu dissuaso dal confessore a dare le dimissioni dai suoi numerosi incarichi e in effetti il card. Alimonda lo lasciò al suo posto, accettando solo che le lezioni di morale al Convitto passassero dall'Allamano a mons. Bertagna.
Quando don Plassa frequentò il Convitto (1904-05) queste bufere erano del tutto passate; anzi, dal 1897 a Torino c'era come arcivescovo il card. Agostino Richelmy. Questi, diversamente dagli arcivescovi predecessori, diede il suo cordiale sostegno al canonico Allamano nel progetto di fondazione di un istituto missionario, che di fatto prese vita a partire dal 1901, subito dopo la guarigione insperata del fondatore da una grave forma di pleuropolmonite doppia. Già nel maggio 1902 partivano i primi quattro missionari della Consolata (così fu denominato il nuovo istituto missionario) per evangelizzare un territorio abitato dalla popolazione dei kikuiu nel sud-ovest del Kenya. Sicuramente il giovane prete don Plassa respirò qualcosa del fervore missionario che bruciava nel cuore dell'Allamano e si avvertiva nelle aule del Convitto.
Al Convitto della Consolata don Michele Plassa ebbe come direttore spirituale don Luigi Boccardo (proclamato beato da papa Benedetto XVI il 14 aprile 2007). Egli era fratello minore di don Giovanni Maria Boccardo (anch'egli proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 24 maggio 1998), parroco di Pancalieri (TO) dal 1882 fino alla morte avvenuta il 30 dicembre 1913, fondatore della congregazione delle Povere Figlie di S. Gaetano. Don Luigi, nato a Moncalieri (TO) nel 1861, da seminarista era entrato in profonda relazione con il padre spirituale del Seminario metropolitano, il can. Giuseppe Allamano. Dopo che Luigi fu ordinato prete nel giugno 1884, l'Allamano si ricordò del suo antico penitente e del suo alto livello spirituale già raggiunto, e lo chiamò nell'aprile 1886 a rivestire il compito di padre spirituale al Convitto. Don Luigi Boccardo non godeva di buona salute e le sue lettere giovanili al can. Allamano rivelano una certa tendenza alla malinconia, una grande delicatezza di spirito spinta a volte fino allo scrupolo. La saggia educazione dell'Allamano lo aveva preparato a diventare un confessore esperto e una guida capace nel dirigere spiritualmente molte anime. Rimase trent'anni al Convitto, diventando una guida spirituale valida per una porzione considerevole del clero torinese e un esperto conoscitore delle vie mistiche, come dimostrano i suoi scritti. Morì a Torino il 9 giugno 1936.
Resta difficile dire quanto l'Allamano e Luigi Boccardo abbiano influito sulla crescita spirituale e pastorale di don Michele Plassa, non avendo documenti che testimoniano una frequentazione di quei maestri spirituali al di là dell'anno del Convitto. Sembra invece che don Plassa abbia conservato nel suo stile di prete un debito maggiore nel confronti dei suoi formatori del Cottolengo, dove era rimasto per ben dieci anni, dal 1892 al 1902. Furono gli anni della sua adolescenza e della sua prima giovinezza, gli anni in cui si chiarì e maturò la sua vocazione di cristiano e di prete. Al Cottolengo di Torino il giovanissimo Michele Plassa ebbe come insegnante di latino e poi di filosofia don Francesco Paleari (proclamato beato da papa Benedetto XVI il 17 settembre 2011). Questi era nato a Pogliano Milanese nel 1863 in una famiglia di modeste possibilità economiche.
Per questo il parroco del posto aveva scritto al superiore della Piccola Casa, padre Luigi Anglesio, per chiedergli di accogliere il ragazzo, mite e pio, che mostrava segni di vocazione. Dall'Epifania 1877 il ragazzo fu accolto tra i Tommasini, cioè gli studenti che frequentavano il seminario interno alla Piccola Casa. Non avrebbe più lasciato il Cottolengo fino alla morte, avvenuta il 7 maggio 1939. Ordinato prete nel 1886, svolse una grande attività di apostolato non solo all'interno della Piccola Casa, ma anche come padre spirituale nel Seminario metropolitano, diventando così il confessore di numerosi preti. Fu anche predicatore di numerosi corsi di esercizi spirituali dentro e fuori diocesi: i contenuti delle sue meditazioni erano piuttosto tradizionali, pur attingendo molto dalla S. Scrittura; ma era un predicatore che risvegliava la fede. E' probabile che don Plassa facesse riferimento a lui come confessore, piuttosto che a don Boccardo. In tutta la vita di don Michele Plassa rimase vivo il riferimento alla spiritualità del Cottolengo: lo si può dedurre da almeno tre sue iniziative. La prima fu la decisione di porre un forte richiamo alla spiritualità della Piccola Casa nella stessa intitolazione della chiesa parrocchiale che si stava erigendo in borgata Parella: non potendo dedicarla al beato Giuseppe Benedetto Cottolengo, perché solo nel 1934 sarebbe avvenuta la sua canonizzazione, la dedicò alla Madonna della Divina Provvidenza. Questo primo edificio (1925), alquanto modesto nel vasto appezzamento che don Plassa riuscì ad acquistare e che era contenuto nelle attuali vie Asinari di Bernezzo, Salbertrand, Carrera e Capelli, si affacciava su via Salbertrand e comprendeva anche la piccola casa parrocchiale. Quando si pose mano alla nuova chiesa (1935), che corrisponde all'attuale che si affaccia su via Asinari di Bernezzo, sulla facciata della chiesa volle che ci fosse la statua del Cottolengo insieme a quella di don Bosco.
Altra iniziativa che in qualche modo collega don Plassa alla spiritualità cottolenghina fu quella di provvedere il quartiere di una scuola materna: già nel 1926 si presentò l'occasione di cedere al Comune di Torino una parte del terreno assegnato alla neonata parrocchia in cambio del danaro ricavato dalla vendita della casa del prof. Ferroglio, lasciata in eredità allo stesso Comune: perciò il Comune di Torino cedeva i soldi per costruire la scuola materna e don Plassa cedeva al Comune una parte del terreno della parrocchia. L'accordo fu siglato e la scuola materna sorse accanto alla chiesa e fu intitolata ad Anna Maria Cavaglià, madre del defunto prof. Ferroglio.
Una terza iniziativa fu l'Opera delle Minestre a partire dal 1936, con l'obiettivo di procurare un pasto caldo ai numerosi poveri che chiedevano aiuto in parrocchia. In un baracca di legno in via Carrera accanto all'asilo si cuocevano ogni giorno pasta, riso e verdure, arrivando nel dopoguerra ad offrire gratuitamente fino a 360 piatti di minestra al giorno.
Intanto nel 1935 si pose mano a costruire la nuova chiesa: prima lo scavo a mano delle fondamenta, all'interno delle quali trovò spazio il sottochiesa, cioè le attuali due palestre. Poi tra il '36 e il '38 sorsero l'abside, l'unica navata e l'ingresso principale che dava su via Asinari. Don Plassa si trovò costantemente alle prese con problemi economici, perché le imprese edilizie e caritative a cui dava il via erano costose e gli aiuti dei parrocchiani non erano mai del tutto sufficienti a coprire i debiti, mentre dalla curia arrivavano più incoraggiamenti che denari. Ma don Plassa non era uomo da scoraggiarsi, fidandosi sempre dell'aiuto della Provvidenza da buon allievo del Cottolengo. A mettere a maggior prova la fede del coraggioso parroco si aggiunsero durante la seconda guerra mondiale due pesanti bombardamenti nel novembre 1942 che sventrarono completamente la chiesa appena costruita e demolirono la casa parrocchiale.
Si salvò dalle bombe solo la scuola materna Cavaglià e lì si adattò un locale funzionante come chiesa e casa parrocchiale, senza che la vita ecclesiale subisse alcuna interruzione.
Certamente per aiutare il coraggioso prete di borgata Parella sul finire della seconda guerra mondiale (1945) dall'arcivescovo card. Maurilio Fossati fu mandato alla parrocchia un giovanissimo viceparroco, don Michele Enriore. Sarebbe diventato il suo braccio destro e quindi il suo successore, rimanendo parroco della parrocchia Madonna della Divina Provvidenza fino alla morte (30 maggio 1995). Nella Chiesa torinese a cavallo tra Ottocento e Novecento si segnalano altre due figure di preti illustri per santità di vita, dei quali è in corso il processo di beatificazione. Si tratta di preti molto noti, certamente conosciuti sia da don Plassa, sia da don Enriore. La prima di esse fu del tutto contemporanea a don Plassa: si tratta di mons. Giovanni Battista Pinardi, anch'egli nato nel 1880 a Castagnole Piemonte (TO), non lontano da Piobesi Torinese, luogo natio di don Plassa. I due si incontrarono almeno nel corso dell'anno scolastico 1904-05, perché entrambi già preti ed entrambi allievi del Convitto Ecclesiastico della Consolata. Don Pinardi, avendo fatto i suoi studi nei Seminari diocesani (dal 1996), fu ordinato prete un anno prima di don Plassa, cioè nel 1903. Laureato in teologia, a 32 anni veniva nominato parroco di San Secondo in Torino: una parrocchia discretamente popolosa, vicina alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, in quella zona a sud del centro storico in cui era incominciata una veloce espansione della città nei primi anni del Novecento; era una parrocchia abitata da operai, commercianti e borghesi. Gli anni tra fine Ottocento e inizio Novecento vedevano svilupparsi in Torino un forte movimento socialista, violentemente anticlericale, cui corrispondeva un lento, ma marcato distacco dalla pratica religiosa e spesso dalla stessa fede di tanti torinesi. Tutto questo doveva peggiorare con la guerra, con i disordini post-bellici e l'avvento del fascismo. San Secondo era però una parrocchia viva, nella quale si era sviluppato un fecondo associazionismo cattolico.
Per don Pinardi era però molto vicino un nuovo, grande incarico, quello di vescovo ausiliare del card. Richelmy: la nomina gli fu comunicata all'inizio del 1916. Invano don Pinardi cercò di allontanare questa nomina, arrivando a scrivere personalmente al papa stesso, ma non ci fu nulla da fare: doveva accettare e il 5 marzo 1916 diventava uno dei più giovani vescovi della Chiesa Cattolica, rimanendo al tempo stesso parroco di San Secondo.. Come vescovo ausiliare mons. Pinardi assolse a numerosi incarichi diocesani, ma con uno stile di proverbiale discrezione: amava fare, lavorando sodo, ma senza apparire. Una delle opere più significative del ministero episcopale di mons. Pinardi fu la promozione e l'incremento dell'Azione Cattolica che nel passaggio da Benedetto XV a Pio XI (1922) cambiò radicalmente struttura e organizzazione: da policentrica con varie ramificazioni e sottogruppi a centralizzata. A Torino dal 1919 aveva aderito alla FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani) il giovane Pier Giorgio Frassati, proveniente da una famiglia dell'alta borghesia torinese, attivo in tante opere caritative come membro della Conferenza di S. Vincenzo, impegnato politicamente nel neonato Partito Popolare di don Luigi Sturzo, coraggiosamente militante nell'associazionismo cattolico, fiero della sua fede, animato da un ardente spirito di preghiera, vicino al vescovo Pinardi. Un altro merito di Pinardi fu il suo lavoro perché l'arcidiocesi potesse avere una dignitosa sede delle associazioni cattoliche e dell'Azione Cattolica, inaugurata il 1° gennaio 1922 per festeggiare il giubileo sacerdotale del card. Richelmy: una sede che già sorgeva proprio là dove dopo la guerra sorse il palazzo che ancora esiste nell'attuale c.so Matteotti 11. Un impegno dell'Ausiliare fu sostenere dietro le quinte le battaglie della Unione del Lavoro, ad esempio per ottenere le otto ore di lavoro giornaliero per le “sartine”: era un sindacato cattolico che doveva sempre più misurarsi con il sindacato “rosso” a sinistra e con il “sindacato fascista” sempre più potente a destra. Così anche verso il giovane Partito Popolare mons. Pinardi nutrì sempre una viva simpatia, con un'amicizia personale con don Sturzo, che era regolarmente ospitato a San Secondo nei suoi passaggi a Torino. Così avvenne nel suo ultimo passaggio a Torino sulla via dell'esilio il 25-26 ottobre 1926: don Sturzo celebrò la sua ultima Messa in Italia nella Chiesa di San Secondo mentre mons. Pinardi gli faceva da chierichetto; poi Pinardi lo accompagnò alla stazione di Porta Nuova. Per queste sensibilità sociali mons. Pinardi si trovò più a suo agio con il nuovo arcivescovo, mons. Giuseppe Gamba (1923-29), astigiano d'origine, proveniente da famiglia contadina come Pinardi, molto sensibile verso i gravi problemi sociali che agitavano gli animi in quegli anni.
Mons. Pinardi ebbe anche a cuore la stampa cattolica e sotto l'episcopato del card. Gamba ebbe un ruolo determinante nella fondazione del “Corriere”, quotidiano cattolico piemontese che si professava apartitico, pur rimanendo sulle posizioni del cattolicesimo democratico e guardando con simpatia al PPI. Per questo fu presto guardato con sospetto e poi spesso attaccato da parte fascista.
Arrivarono inviti al cardinale da parte della S. Sede a moderare i toni del quotidiano: ormai l'associazionismo cattolico si stava sfaldando sotto le pressioni fasciste, finché il giornale fu sospeso dal prefetto di Torino nel novembre 1926. Furono pesanti le critiche e le recriminazioni che mons. Pinardi dovette subire in quei mesi, non adeguatamente protetto dall'episcopato piemontese.
Resta da dire una parola sull'antifascismo di mons. Pinardi che fu reale, anche se da parte sua ci furono ben poche dichiarazioni esplicite, mentre invece prevalse il riserbo e la prudenza da parte sua. Tuttavia le gerarchie fasciste, a incominciare dal ministro degli interni Federzoni, lo avevano da tempo catalogato tra gli oppositori del regime. Tale ostilità si fece più acuta e concreta dopo la morte del card. Gamba (1930) e si fecero vari passi di dette gerarchie, arrivando fino a premere sulla S. Sede, perché mons. Pinardi non fosse nominato successore di Gamba sulla cattedra torinese, quindi insistendo perché non fosse più confermato vescovo ausiliare, infine minacciando che non si sarebbe accettato un suo trasferimento in una diocesi residenziale. Pare che lo stesso Pio XI abbia informato di questa avversione fascista il nuovo arcivescovo Maurilio Fossati, suggerendogli di non dare incarichi di curia al vescovo Pinardi. Così fu fatto. Mons. Pinardi accettò in silenzio, senza nessuna lamentela e accontentandosi di fare a tempo pieno il parroco di San Secondo, forse più contento che dispiaciuto di esser sollevato da oneri che non aveva mai desiderato. Così, diminuito sensibilmente il peso delle sue responsabilità curiali, crebbe a dismisura negli anni seguenti la sua autorevolezza morale, diventando per il clero per oltre trent'anni un luminoso esempio di pastore saggio, umile e laborioso. In quei trent'anni la parrocchia visse un tempo di particolare floridezza spirituale e di notevole crescita pastorale: fu una delle parrocchie migliori della Chiesa torinese, se non la migliore per l'intensità della vita pastorale e per le numerose vocazioni sacerdotali e religiose che l'esempio del santo parroco ispirava. Il vescovo parroco concluse la sua vita terrena il 2 agosto 1962. Di mons. Pinardi è iniziata la causa di beatificazione.
Un'altra esimia figura di prete torinese, certamente conosciuto sia da don Plassa, sia da mons. Enriore fu quella di mons. Adolfo Barberis (è in corso il processo canonico di beatificazione e la Chiesa lo ha riconosciuto venerabile il 3 aprile 2014). Adolfo Barberis era nato a Torino nel 1884, fu ordinato presbitero il 29 giugno 1907 dall'arcivescovo, card. Agostino Richelmy di cui era già segretario, fu allievo esterno del Convitto Ecclesiastico di cui era rettore il can. Giuseppe Allamano negli anni 1907-09 ed ebbe come docente di Teologia morale mons. Costanzo Castrale. Restò segretario dell'arcivescovo Richelmy dal 1906 fino alla di lui morte (1923). Queste date ci confermano che ci fu almeno un contatto tra don Plassa e mons. Barberis, quando cioè il card. Richelmy nel 1920 incaricò don Plassa, di soli quattro anni più anziano del Barberis, di dare vita ad una parrocchia in borgata Parella: allora il Barberis era segretario dell'arcivescovo. Possiamo però aggiungere che sicuramente anche in seguito non restò ignota a don Plassa la vicenda personale di mons. Barberis, uomo troppo noto nell'arcidiocesi torinese e non solo, negli anni che lo videro fondatore di una congregazione religiosa e poi facile bersaglio di critiche pesanti e di incomprensioni a Torino.
Don Adolfo Barberis come segretario dell'arcivescovo Richelmy, oltre agli impegno ordinari propri del suo ufficio, sempre più gravosi quanto più declinava la salute del cardinale soprattutto dal 1916, dovette assumere un serie di incarichi a livello diocesano, tra cui quello di provicario generale dal giugno 1918, tanto da diventare il braccio destro dell'arcivescovo. Il prestigio e di fatto anche il potere esercitato a fianco dell'arcivescovo, sempre più incline a cedere al segretario oneri e responsabilità, inevitabilmente attirarono sul Barberis anche rivalità e malumori, che si manifestarono apertamente negli anni successivi alla morte del Richelmy. Un appunto autobiografico dell'agosto 1935, in cui il Barberis scrive in terza persona, lo dice chiaramente e parla di un clima di sospetto in parte del clero diocesano sul suo presunto arricchimento quale erede universale dell'arcivescovo defunto, di isolamento e di avversione nei confronti della congregazione del Famulato Cristiano da lui fondata. Finito il suo incarico di segretario del Richelmy (1923) il Barberis a poco a poco lasciò tutti gli incarichi e concentrò ogni suo sforzo sulla formazione e sulla crescita del Famulato Cristiano, impegnandosi molto nella predicazione e nella direzione spirituale. Ne sono testimonianza nei suoi scritti ben 127 schemi di ritiri e 48 di esercizi spirituali al clero, ma ben più numerosi furono i corsi di predicazione da lui tenuti dalla metà degli anni '20 fino a metà degli anni '50: un elenco, incompleto, dei luoghi e delle persone a cui si rivolse nel suo ministero di predicazione occupa ben quattordici pagine! Questa indefessa attività di ministero obbediva prima di tutto al suo proposito di non dire mai di no quando si trattava del clero. Ma c'erano anche altre ragioni: prima di tutto gli introiti che derivavano dalla sua predicazione gli permettevano di aiutare economicamente il Famulato, che fino almeno alla metà degli anni '30 ebbe seri problemi finanziari; inoltre il lavoro apostolico lontano dalla propria diocesi gli consentiva di non imporre la sua presenza a quella parte di clero che lo giudicava persona sgradita e inaffidabile. Soprattutto queste due pesanti sofferenze resero particolarmente dolorosa la vita sacerdotale del Barberis per quasi un trentennio: una Via Crucis che si fece più amara per la disistima che il suo arcivescovo, card. Fossati, mantenne verso di lui per circa un ventennio, aggravata da calunnie infamanti che in seguito si rivelarono del tutto false. Anche persone a lui molto vicine per amicizia durante il lungo suo ufficio di segretario del card. Richelmy presero opportunamente le distanze da lui, caduto in disgrazia durante la prima parte dell'episcopato torinese del card. Fossati, interrompendo i rapporti epistolari: tra queste va purtroppo annoverata madre Maria degli Angeli, carmelitana scalza. In queste prove in mezzo a contrarietà, solitudine e diffamazione don Adolfo Barberis diede prova di eroica pazienza, di umiltà e di fortezza: non c'è traccia nei suoi scritti di recriminazioni, di giudizi avvelenati o di accuse, a volte arrivando anche a giustificare un poco i suoi detrattori. Anche le infinite traversie per la erezione canonica del Famulato, che ebbe la prima approvazione solo nel 1953 ad opera del vescovo di Ivrea, mons. Paolo Rostagno, non lo videro mai impaziente o adirato, ma sempre abbandonato fiduciosamente alla volontà di Dio: sapeva soffrire in silenzio e con il sorriso, senza mai pensare di cambiare diocesi per inserirsi là dove avrebbe trovato prestigio e onori. Con gli anni '50 le bufere lasciarono il posto a una crescente stima nei confronti del Barberis anche da parte del suo arcivescovo. Un suo fedele estimatore fu sempre mons. Michele Pellegrino che, divenuto arcivescovo a Torino, non mancò di far visita all'amico e consigliere spirituale mons. Barberis. Stava ormai avvicinandosi l'ora della partenza da questo mondo, che avvenne a Torino il 24 settembre 1967.
Anche don Plassa, pur più modesto intellettualmente di mons. Barberis, seppe accettare con serenità e senza recriminazioni una scarsa stima da parte dei superiori, se soltanto nel 1946 venne ufficialmente nominato parroco della parrocchia Madonna della Divina Provvidenza. Sebbene avesse ormai accanto il giovane e capace don Michele Enriore, ancora nel dicembre 1949 dovette sopportare una diffida da parte dell'Amministrazione diocesana a non riprendere i lavori di costruzione della chiesa fino a quando non fossero stati pagati i debitori per il cospicuo importo di 18 milioni di lire. Parroco e viceparroco si imposero nei tre anni successivi ogni sorta di sacrificio, per poter finalmente riprendere i lavori di costruzione della chiesa nel 1952. Don Plassa non vide il completamento dell'opera: moriva infatti il 3 aprile 1953 in una clinica a Torino. Giustamente i suoi resti mortali per volontà della popolazione nel giugno 1959 furono traslati nella sua chiesa parrocchiale, dove tuttora riposano in un bel sarcofago in marmo realizzato dall'architetto Paolino Napione. Toccò a don Michele Enriore il compito di completare la costruzione della chiesa e questo avvenne nel 1958: a tre navate, alta e spaziosa, con una bella facciata che si apre su via Asinari di Bernezzo con in alto la statua della Madonna e più in basso le statue del Cottolengo e di don Bosco, tutta rivestita all'esterno di mattoni a vista, era ormai una degna chiesa parrocchiale per una comunità di fedeli sempre più numerosa. Il vecchio borgo contadino, che annoverava ormai anche numerose piccole aziende industriali, si stava trasformando in un ordinato quartiere cittadino sul lato ovest della città, abitato prevalentemente da una popolazione non più di contadini, ma di operai e di piccola borghesia impiegatizia.
La chiesa parrocchiale merita una descrizione accurata. L'ampio e solenne interno a tre navate – quella centrale è alta quasi 30 metri – sostituì il precedente edificio a una sola navata, completamente sventrato dal duplice bombardamento del novembre 1942. Confidava mons. Enriore che la chiesa fu edificata “senza contributi da parte di nessuno e solo dalla partecipazione della gente” con una spesa che arrivò a toccare i 295 milioni di lire, e benficò dell'assistenza gratuita dell'arch. Paolino Napione e quindi del figlio ing. Giorgio. Entrando, lo sguardo è subito colpito dall'iconostasi che fa da sfondo all'ampio presbiterio e delimita l'abside. Al centro campeggia su sfondo bianco-marmoreo il crocifisso ligneo nero, opera dello scultore Cerrato, composto da ben 368 pezzi: scolpito nel 1936, dovette essere ricomposto dopo i bombardamenti del 1942. A fianco del crocifisso sono posti quattro mosaici raffiguranti, più in alto, s. Tommaso d'Aquino e s. Pasquale Baylon, più in basso, s. Vincenzo de' Paoli e s. Gaetano da Thiene: due santi dell'Eucaristia e due santi della carità. I mosaici furono realizzati dalla scuola Beato Angelico di Milano già negli anni '20.
Nella parte alta dell'abside si ammira il grande dipinto costituito da una ventina di tele applicate al muro semicircolare, che rappresenta l'incoronazione della Vergine alla quale guardano una corona di santi, disposti su due livelli: quello più basso è alto m. 3,60 per m. 32 di lunghezza; quello più alto misura m. 3,60 di altezza per m. 12 di lunghezza. L'artista fu Antonio Testa, che realizzò l'opera nel 1938 e dovette restaurarla dopo la guerra, nel 1957. Sono figure imploranti, compresa quella della Vergine, alcune di straordinaria bellezza: il pittore ha voluto raffigurare qui non tanto una visione di gloria, quanto piuttosto una Chiesa supplicante, ben consapevole dei travagli della storia terrena, che guarda a Maria, anch'essa madre di una Chiesa militante che fissa lo sguardo verso l'alto, verso una beatitudine ardentemente sperata e già contemplata in Maria.
Il maestoso presbiterio che ancora ammiriamo è frutto felice dell'adeguamento alle norme liturgiche emanate dal Concilio Vaticano II: fu realizzato nel 1984. Il pavimento è in rosa granito di Baveno. L'altare è in parte in pietra di Vicenza, in parte in granito rosa di Baveno. Ai tre lati del presbiterio sono collocati 71 sedili in pietra di Vicenza. Bello il basso pulpito in marmi colorati, che funge da ambone.
A lato della navata laterale di destra si apre la cappella del battistero, ornata da un pregevole bassorilievo bronzeo (m. 2,90 per m. 1,40) del maestro Giovanni Cantono (1966), che rappresenta il Battista nell'atto di battezzare Gesù. Al lato opposto della chiesa, nella cappella a lato della navata sinistra lo stesso maestro Cantono realizzò nel 1962 l'altare delle Anime del Purgatorio, seguendo un'idea che era già di don Plassa: le anime dei defunti tendono verso l'alto, cioè verso il Cristo risorto attorniato da angeli. Nel 1970, in ossequio alle norme liturgiche fu ricavato a lato del presbiterio uno spazio-cappella ben illuminato da un'ampia finestra, per collocare il tabernacolo ove custodire il Ss. Sacramento dell'Eucaristia. Fu ancora l'artista torinese Giovanni Cantono a ideare la porta del tabernacolo.
Ci sono ancora due cappelle laterali verso l'ingresso della chiesa: a destra c'è la cappella della Madonna, Madre della Divina Provvidenza. La statua lignea, sormontata da un elegante baldacchino e attorniata da angeli, raffigura Maria che seduta sorregge e guarda il Bambino, il quale a sua volta fissa la Madre e tiene dolcemente la mano nella mano della Madonna. Si tratta di un'immagine di profonda tenerezza, scolpita a Ortisei in Val Gardena, in legno cirmolo e dipinta a mano. Lo scultore, su suggerimento di mons. Enriore, si ispirò alla celebre raffigurazione di Maria Madre della Provvidenza, che si venera nelle chiese dei PP. Barnabiti. Sul lato opposto si può ammirare la cappella del Sacro Cuore, con accanto le due statue di s. Giuseppe e di s. Rita.
Merita indicare ancora due grandi tele, ora collocate in buona posizione ai lati del presbiterio sul muro di fondo della chiesa. Una è del maestro Dilvo Dotti e rappresenta Gesù divino lavoratore; l'altra è del maestro Daniele Marchetti e rappresenta Gesù risorto con due discepoli. Entrambe le tele a olio sono del 1957 e misurano m. 3 per m. 1,80. Infine, sul sagrato della chiesa sotto il porticato d'ingresso è posto un mezzobusto bronzeo raffigurante don Plassa, opera dello scultore Cerrato.
Ancora un'opera religiosa, realizzata lontano da Torino, ma maturata tra giovani e meno giovani della parrocchia, fu l'erezione della statua della Madonna che sorregge il Bambino, opera dello scultore Giovanni Cantono, e posta presso la punta del Polluce in Val d'Aosta a m. 4091. Al trasporto della statua provvide il Gruppo del CTG Stelutis: dal 19 agosto 1965 l'immagine della Vergine Madre (kg. 98, altezza m. 1,80) veglia su uno sperone prossimo alla punta del Polluce.
Il lungo e laborioso ministero parrocchiale di mons. Michele Enriore nella parrocchia Madonna della Divina Provvidenza, iniziato ufficialmente il 3 aprile 1953 (ma già prima era viceparroco della stessa parrocchia, dal marzo 1945) e conclusosi con la sua morte il 30 maggio 1995, merita un racconto a parte per la ricchezza delle opere da lui realizzate dentro la parrocchia e al tempo stesso nell'arcidiocesi di Torino quale direttore dell'Opera Torino-Chiese dal 1954, economo generale dal 1985 e direttore dell'Ufficio per l'amministrazione dei beni ecclesiastici dal 1991. Questo racconto in parte è già stato fatto, ma resta da dire ancora non poco. Qui si è voluto richiamare alla memoria soprattutto il fondatore della parrocchia, don Michele Plassa e colui che può a ragione essere considerato il confondatore e primo continuatore, don Michele Enriore, entrambi inseriti nella storia della Chiesa torinese che anche nel primo Novecento fu una storia di santità.
A coronamento della nutrita schiera di santi che furono in certa misura contemporanei di don Plassa e alcune di mons. Enriore, due belle figure meritano ancora un ricordo, entrambe maggiormente vicine agli anni di mons. Enriore: fratel Luigi Bordino (al secolo Andrea Bordino), proclamato beato il 2 maggio 2015, e il card. Anastasio Alberto Ballestrero, che fu arcivescovo di Torino dal 1 agosto 1977 al 31 gennaio1989, del quale è in corso la causa di beatificazione. Fratel Luigi (Andrea) Bordino era nato a Castellinaldo, diocesi di Alba, nel 1922. Ben inserito in parrocchia, membro attivo dell'Azione Cattolica, instancabile lavoratore nei campi accanto al padre, nel giugno 1941 venne arruolato come alpino per partire di lì a poco per la terribile campagna di Russia. Già a gennaio del '43 il disastro dell'armata italiana era decretato. I due fratelli Bordino erano parte dell'immenso serpentone di prigionieri nel gelo invernale e nella fame: un vagare che durò fino all'aprile '44, per poi finire a Taskent per lavorare per due anni nelle piantagioni di cotone. Finita la guerra, ci fu il lungo ritorno in patria: l'armata italiana aveva lasciato 90.000 morti in Russia. In quei terribili mesi di stenti, di gelo e di malattia Andrea aveva incominciato a maturare le sua vocazione di consacrazione al Signore: maturazione che si completò nei pochi mesi passati a casa dopo il ritorno dalla guerra con la decisione di entrare come fratello al Cottolengo di Torino (luglio 1946). Stavano davanti a lui trent'anni di lavoro e di servizio come infermiere in mezzo agli ammalati, di preghiera e di vita religiosa come fratello cottolenghino. Ben presto molti incominciarono ad apprezzare fratel Bordino, riconoscendo in lui un evidente carisma nella sua intelligente cura degli ammalati. Nella primavera del 1975 fratel Luigi incominciò ad avvertire i primi sintomi della malattia che doveva essergli fatale. Diagnosticò egli stesso il suo male: una leucemia mieloide che non lasciava speranze. Iniziava il suo lento calvario di sofferenze, affrontate con fede paziente e coraggiosa, durante il quale offrì a Dio la sua vita per la Chiesa, per la Piccola Casa e per i poveri. Morì il 25 agosto 1977.
Anastasio Alberto Ballestrero nacque a Genova il 3 ottobre 1913. Entrato nelle file dei Carmelitani Scalzi, emise la professione solenne nel 1934 e fu ordinato prete nella cattedrale di Genova il 6 giugno 1936. Molto presto gli furono assegnati incarichi sempre più grandi all'interno dell'Ordine, fino a diventare provinciale della provincia ligure dal 1948 al '54, per poi diventare preposito generale dell'Ordine dal 1955 al 1967. Visitò tutti gli 800 monasteri di monache carmelitane e i 350 conventi di frati, sparsi in tutto il mondo. Partecipò al Concilio Vaticano II, prima come perito, poi come padre conciliare in quanto superiore dell'Ordine. Papa Paolo VI lo nominò arcivescovo di Bari nel dicembre 1973, quindi lo trasferì alla sede di Torino il 1° agosto 1977. Come il suo predecessore, card. Pellegrino, ebbe a cuore l'attuazione del Concilio, opponendosi a interpretazioni riduttive dei documenti conciliari. Erano quelli gli anni difficili in cui Torino e l'Italia erano funestati dalle azioni del terrorismo rosso. Fu creato cardinale il 30 giugno 1979. Durante il suo episcopato si svolsero le due visite a Torino di papa Giovanni Paolo II, nell'aprile 1980 e nel settembre 1988. Significativo il convegno da lui indetto a Torino nel 1979 su Evangelizzazione e promozione umana. Fu saggio e apprezzato presidente della CEI dal 1979 al 1985. Per raggiunti limiti di età le sue dimissioni furono accolte il 31 gennaio 1989. Si ritirò presso la casa dei Carmelitani a Bocca di Magra (La Spezia), dove morì il 21 giugno 1998. Di lui si ricorda che dopo un prudente inizio di conoscenza nei confronti di Torino, amò intensamente e stimò grandemente la Chiesa torinese, sinceramente ricambiato nell'affetto e nella stima da parte di tutto il clero. Fu certamente uno dei vescovi più saggi e illuminati che la Chiesa torinese abbia avuto negli ultimi secoli.
I due confondatori della Parrocchia Madonna della Divina Provvidenza, don Michele Plassa e mons. Michele Enriore, sono anch'essi inseriti in questa grande e robusta schiera di figure eminenti e sante che hanno illustrato la vita della Chiesa torinese in questi ultimi 100 anni. I due parroci che qui vogliamo ricordare in modo speciale certamente conobbero molte di queste figure esimie per santità di vita; certamente il solco di santità da esse tracciato influì sulle scelte di vita e di apostolato dei due parroci in modo misterioso, ma reale. E' bello e confortante pensare che questa nostra parrocchia, intitolata alla Madonna della Divina Provvidenza, è parte viva di questa storia che è contrassegnata da così tanti santi. Noi desideriamo vivamente che questa storia continui, perché anche di questa parrocchia possa dirsi che è “Madre dei santi, immagine / della Città superna”, come scrisse mirabilmente il grande Alessandro Manzoni nell'inno La Pentecoste.
Don Lucio Casto